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      Queste tali frasi necessarie e forzate, obbligano poi lo scrittor prosaico francese a formar loro un contorno conveniente, a seguire una forma di dire, uno stile, dove queste frasi, figure ec. non disdicano, e quindi a innalzare il tuono della sua prosa, e dargli un color poetico tanto nello stile quanto nella lingua: e cosė la povertā della lingua francese rende poetica la sua prosa, e per le figure che l'obbliga ad usare in cambio delle parole che le mancano, e per le figure che queste medesime figure forzate richiedono intorno a se, e quasi portano con se, e per lo stile e il linguaggio e il tuono che queste figure forzate [2668]domandano per non disdire.
      (2. Feb. 1823.)
     
      Chi mi chiedesse quanto e fino a qual segno la filosofia si debba brigare delle cose umane e del regolamento dello spirito, delle passioni, delle opinioni, de' costumi, della vita umana; risponderei tanto e fino a quel punto che i governi si debbono brigare dell'industria e del commercio nazionale a voler che questi fioriscano, vale a dire non brigarsene nč punto nč poco. E sotto questo aspetto la filosofia č veramente e pienamente paragonabile alla scienza dell'economia pubblica. La perfezione della quale consiste nel conoscere che bisogna lasciar fare alla natura, che quanto il commercio (interno ed esterno) e l'industria č pių libera, tanto pių prospera, e tanto meglio camminano gli affari della nazione; che quanto pių č regolata tanto pių decade e vien meno; che in somma essa scienza č inutile, poichč il suo meglio č fare che le cose vadano come s'ella non esistesse, e come anderebbero da per tutto dov'ella e i governi non s'intrigassero del commercio e dell'industria; e la sua perfezione č [2669]interdirsi ogni azione, conoscere il danno ch'essa medesima reca, e in somma non far nulla, al quale effetto gli uomini non avevano bisogno d'economia politica, ma s'ella non fosse stata, ciō si sarebbe necessariamente ottenuto allo stesso modo, e meglio.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555