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      L'inumanità verso i nemici non era biasimo ai tempi di Omero, perchè i nemici non erano considerati come uomini, o come parte di quel corpo a cui apparteneva il loro avversario. Gli antichi (e i selvaggi altresì) erano ben lontani dal considerare tutto il genere umano come una famiglia, e molto più dal considerare i nemici come loro simili e fratelli. Simili e fratelli non erano per gli antichi, e non sono per li selvaggi, se non gl'individui della loro stessa società; o nazione o cittadinanza o esercito che la vogliamo chiamare e considerare. Di questo ho detto altrove. Quindi essere inumano verso i nemici, tanto era per gli antichi, quanto essere inumano verso i lupi o altri animali che non [2766]sono del genere umano, anzi gli nocciono. Siccome appunto i nemici nocevano o cercavano di nuocere a quella società, dentro i limiti della quale si conteneva tutta quella famiglia umana a cui gli antichi si stimavano appartenere. E come a chi prendesse a difendere o a vendicare la sua società contro gli animali nocivi, sarebbe lode il non perdonar loro in alcuna maniera, ma sterminarli tutti a poter suo; così agli antichi era lode l'inumanità verso i nemici, che non si reputavano aver diritto all'umanità, non istimandosi aver nulla di umano, cioè nulla di comune con quegli uomini che li combattevano; e l'eccesso o il sommo grado di questa inumanità si giudicava proprissima dell'eroe. Massimamente che tutte le passioni o azioni forti erano fra gli antichi stimate molto più degne, o certo più eroiche che le deboli; e quindi la spietatezza verso chi non aveva alcun titolo alla clemenza, quali si stimavano [2767]i nemici, era creduta molto più eroica che la compassione, affetto dolce, molle, e stimato femminile; la vendetta molto più eroica che il perdono, siccome il risentimento era giudicato ben più degno dell'uomo che la pazienza delle ingiurie, la quale non andava mai disgiunta dalla riputazione e dal biasimo di viltà o dapocaggine.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555

   





Omero