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      E nella estremità inferiore della prima, porre gli esseri affatto o più di tutti gli altri inorganizzati. Indi salendo fino alla sommità, porre gli esseri più organizzati, fino a quelli che tengono il mezzo della organizzazione, della sensibilità, della conformabilità. E di questi farne il sommo [2900]grado della scala, cioè della perfezione comparativamente considerata, come quelli che forse sono per natura i più disposti a conseguire la propria particolare e relativa felicità, e conservarla. Da questi in poi sempre discendendo giù giù per gli esseri più organizzati sensibili e conformabili, porre nell'ultimo e più basso grado dell'altra parte della scala l'uomo, come il più organizzato, sensibile, e conformabile degli esseri terrestri.
      Discorrendo in questo modo, e raddoppiando o ripiegando così la scala, troveremmo che l'uomo è veramente nella estremità non della perfezione (come ci parrebbe se facessimo una scala sola o semplice e retta), ma della imperfezione; e in una estremità più bassa ancora di quella che è dall'altra parte della scala. Perocchè dalla comparativa imperfezione degli esseri posti in quel grado, non ne segue ai medesimi alcuna infelicità laddove all'uomo grandissima.
      E veramente io così penso. L'uomo non è per natura infelice. La natura non ha posto [2901]in lui nessuna qualità che lo renda tale per se medesima, nessuna che tal qual è naturalmente, si opponga da niuna parte al suo ben essere; e però la natura direttamente non ha prodotto l'uomo nè infelice, nè tale ch'ei debba necessariamente divenirlo.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555