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      Tant'è. Nello stesso cinquecento, l'Italia non aveva ancora una lingua che fosse formalmente poetica, cioè la diversità del linguaggio tra i poeti e gli oratori, non era per anche se non lieve, e male o insufficientemente determinata. Gli scrittori prosaici che componevano con istudio e con presunzione di bello stile, si accostavano alla lingua del Boccaccio e de' trecentisti, e questa era similissima alla lingua poetica, perchè la lingua poetica del 300. era quasi una colla prosaica. Gli scrittori poetici che scostandosi dalla lingua del 300, volevano [3415]accostarsi a quella del loro secolo, davano in uno stile familiare, bellissimo bensì, ma poco diverso da quel della prosa. Testimonio l'Orlando dell'Ariosto e l'Eneide del Caro, i quali, a quello togliendo le rime, a questa la misura (oltre le immagini e la qualità de' concetti ec.) in che eccedono o di che mancano che non sieno una bellissima ed elegantissima prosa? E paragonando il poema del Tasso (scritto nella propria lingua del suo tempo) colle prose eleganti di quell'età, poco divario vi si potrà scoprire quanto alla lingua. Di più i poeti italiani del 500. furono soliti (massime i lirici, che sono i più) di modellarsi sullo stile di Petrarca e di Dante. Il carattere di questo stile riuscì ed è necessariamente familiare, come ho detto altrove. Seguendo questo carattere, o che i poeti del 500 l'esprimessero nella stessa lingua di que' due, come moltissimi faceano, o nella lingua del 500, come altri; doveano necessariamente dare al loro stile un carattere di familiare e poco diverso da quel della prosa.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555

   





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