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      È mirabile che un uomo desideroso o [3493]risoluto di morire, un uomo che ripone il suo meglio nel non essere, che non trova per lui miglior cosa che il rinunziare a ogni cosa; stimi ancora di aver qualche cosa a perdere, e cosa tanto importante, ch'egli tema sommamente di perderla; e che questa opinione e questo timore gli renda impossibile la franchezza, e il gittarsi disperatamente nella vita ch'ei nulla stima; ch'egli ami meglio rinunziare decisamente a ogni cosa e perdere ogni cosa, che mettersi, com'ei si crede, al pericolo di perdere quella tal cosa, cioè quella riputazione e quella stima altrui che l'uomo timido teme a ogni momento di perdere, conversando nella società, e ch'egli sa però bene di non avere, o di perderla, mostrandosi timido; ma contuttociò lo rende incapace di franchezza il timore continuo di perdere, e la continua e affannosa cura di conservare, quello ch'ei comprende di non possedere, quello ch'ei ben s'avvede o di perdere necessariamente o di non mai potere acquistare se non deponendo quel continuo ed eccessivo timore, quella continua ed eccessiva cura. Tutte queste misere e strane contraddizioni [3494]e tutti questi accidenti hanno luogo (proporzionatamente più o meno ec.) nelle persone timide, e più quanto elle sono di spirito più delicato ec. delicatezza che bene spesso è la sola o la principal cagione della timidità. Ma quanto al temere ancora la vergogna desiderando la morte o essendo disposto di proccurarsela, si spiega col vedere che quel coraggio il quale non nasce da cause fisiche, nè da atto o abito naturale o acquisito d'irriflessione, ma per lo contrario nasce da riflessione accompagnata col sentimento d'onore, e da delicatezza d'animo (non da grossezza, come quell'altro) preferisce effettivamente la morte alla vergogna, e tanto è più pauroso di questa che di quella, che ad occhi aperti e deliberatamente sceglie in fatto la prima piuttosto che la seconda, e antepone il non vivere alla pena di vergognarsi vivendo.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555