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      Così non v'ha nè vi può aver momento alcuno senza vero patimento, benchè possa parer che ve n'abbia (perocchè il patimento venendo a essere perpetuo, il vivente ci si avvezza per modo insin da' primi istanti del vivere, che pargli di non sentirlo, e di non avvedersene). [3551]Anzi questa seconda proposizione è necessaria conseguenza della prima, e quasi la medesima diversamente enunziata. Perocchè dove non v'ha piacere, quivi ha patimento, perchè v'ha desiderio non soddisfatto di piacere, e il desiderio non soddisfatto è pena. Nè v'ha stato intermedio, come si crede, tra il soffrire e il godere; perchè il vivente desiderando sempre per necessità di natura il piacere, e desiderandolo perciò appunto ch'ei vive, quando e' non gode, ei soffre. E non godendo mai, nè mai potendo veramente godere, resta ch'ei sempre soffra, mentre ch'ei vive, in quanto ei sente la vita: chè quando ei non la sente, non soffre; come nel sonno, nel letargo ec. Ma in questi casi ei non soffre perchè la vita non gli è sensibile, e perchè in certo modo ei non vive. Nè altrimenti ei può cessare o intermettere di soffrire, che o cessando veramente di vivere, o non sentendo la vita, ch'è quasi come intermetterla, e lasciare per un certo intervallo di esser vivente. In questi soli casi il vivente può non soffrire. Vivendo e sentendo di vivere, ei nol può mai; e ciò per propria essenza sua e della vita, e [3552]perciò appunto ch'egli è vivente, ed in quanto egli è tale, come nella mia teoria del piacere ec.?
      (29. Sett.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555