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      Che l'ardore, il gelo; l'estrema umidità, l'estrema secchezza; la terra affatto sterile, la sommamente feconda; il cielo sempre sereno, il sempre piovoso; tutte queste cose sieno state dalla natura rendute affatto indifferenti al bene e perfetto e felice e proprio essere della specie umana? [3654]Ch'ella abbia ugualmente disposta la detta specie a tutte queste cose, a tutti questi estremi? Or questo è ciò che seguirebbe dal fatto, cioè dall'universale diffusione di nostra specie, se dal fatto si dovesse argomentare la di lei natura: questo è ciò che suppone veramente e necessariamente nel fatto la detta universal diffusione, e senza cui essa non può non esser cosa snaturatissima e contrarissima al ben essere della specie. Qual altra specie di animali, di vegetali ec. è o può mai parere a un filosofo disposta naturalmente, non dico a tutti i diversi estremi delle qualità de' paesi, come si pretende o è necessario pretendere che lo sia indifferentemente la specie umana; non dico a due soli di tali estremi; ma pure a due differenze in tali qualità, che non sieno molto lontane dagli estremi? Qual proporzione, quale analogia sarebbe tra la detta natura fisica della specie umana, e quella di qualsivoglia altra specie, e di tutte insieme, e tra la natura universale?
      Io dico dunque per fermo, che la specie umana per sua natura, secondo le intenzioni della natura, volendo poter conservare il suo ben essere, [3655]non doveva propagarsi più che tanto, e non era destinata senon a certi paesi e certe qualità di paesi, de' limiti de' quali non doveva naturalmente uscire, e non uscì che contro natura.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555