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      (Io considero quelli che si chiamano piaceri come utili e conducenti alla felicità, solo in quanto distrazioni forti, e vivi divertimenti dell'amor proprio, (chè infatti essi non sono utili in altro modo) e tanto più forti distrazioni, quanto più vivi e forti sono essi piaceri, così chiamati, e maggiore il loro essere di piacere, e la sensazion loro più viva. I deboli sono incapaci di piaceri forti, o solo di rado e poco frequenti, e men forti sempre che non ne provano i vigorosi, perchè la lor natura non ha la facoltà o di sentire più che tanto vivamente, o di sentire piacevolmente quando le sensazioni sieno più che tanto vive.) Se l'uomo forte in qualunque modo, è privo, per qualunque cagione, di piaceri, o di piaceri abbastanza forti, e di sensazioni vive, e di poter mettere in opera la sua facoltà di azione, o di metterla in opera più che il debole, egli è veramente più infelice che il debole, e soffre [3922]di più. Perciò, fra le altre cose, nel presente stato delle nazioni e quanto alla sua natura, i giovani sono generalmente più infelici dei vecchi, e questo stato è più conveniente e buono alla vecchiezza che alla giovanezza. L'uomo forte è meno infelice del debole in uguali dispiaceri e dolori; più infelice s'egli è privo di piaceri, o di piaceri più vivi e frequenti che non son quelli del debole. Egli è più atto a soffrire, e meno atto a non godere; o vogliamo dire men disadatto all'uno, e più disadatto all'altro.
      Ma oltre di tutto ciò, bisogna accuratamente distinguere la forza dell'animo dalla forza del corpo.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555