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      V. p.4351.
      Noi ridiamo di quell'antico modo di pubblicazione; forse quegli antichi riderebbero assai del nostro. Certo non potremo negare che quella non fosse e naturale (anzi la sola naturale), e vera pubblicazione. Noi diciamo aver pubblicato un componimento quando ne abbiam fatto tirare qualche centinaio di copie, che andranno al più in qualche centinaio di mani; come se quelle centinaia di lettori fossero la nazione: e la nazione veramente, il vero pubblico, il popolo, non ne sa assolutamente nulla. Pubblicare allora, era dare ed esporre al popolo, che oggi è straniero alle nostre edizioni. Come già Plato (Phaedr. p.274. E) atque alii veteres philosophi iudicaverunt inventas litteras profuisse disciplinis, sed obfuisse discentibus, adeo ut quae inventio medicamen memoriae dicta esset, eadem non [4347]immerito noxa ejus et pernicies diceretur (Wolf, §.24. p. CI-CII), così non sarebbe men paradosso e forse più vero il dire che la scrittura, celebrata per aver popolarizzata l'istruzione, è stata al contrario per una parte la causa di depopolarizzar la letteratura, la quale una volta non poteva vivere che presso il popolo, e di separar dal popolo i letterati, i quali già ne fecero necessariamente parte. La scrittura sola ha reso possibile una letteratura più colta, polita e perfetta, la quale di sua natura non può essere, e non sarà mai, popolare. (Oggi siamo a un punto, che per farla tale, bisogna sperfezionarla, tornarla a una specie d'infanzia, a una rozzezza, sacrificando il bello all'utile.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555

   





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