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      Giustamente il Flora identifica "la magia di quegli appunti", di quei "frammenti di compiuta bellezza", proprio in una sorta di nobile e fluente e sincera (perfino spudorata, aggiungiamo noi) "virtualità poetica leopardiana, che sembra aspettare soltanto l’occasione di fissarsi nel canto come in un suo naturale rito: una virtualità ch’è uno stato di preghiera verso una meta poetica". Questo ce lo rende eternamente moderno e finanche provocatorio. Lo stesso Flora teme una lettura errata di questi appunti: "possiamo correre il pericolo di leggerli come il capitolo finale dell’Ulysses di Joyce, o come parole in libertà di un uomo di genio"... È invece la poesia della memoria, la chiave di volta di tutto l’edificio lirico leopardiano. Ancora e sempre ricordanza, avviata e istigata dalla primigenia, sorgiva immaginosità infantile, e poi adolescente di timori o entusiasmi.
      Davvero questa totale aderenza sensibile, emotiva, alla sfera umana, questo idealismo concretato, umiliato e sublime in terrestrità - costituisce l’eterno fascino della poesia e dell’uomo Leopardi: oggi e ieri, da un secolo all’altro, di generazione in generazione. Da Nietzsche, ai cui occhi giganteggiava come filologo-poeta, e come "più grande prosatore del secolo" - alla restaurazione classicista della "Ronda", che resta il più appassionato e lucido apostolato per un leopardismo del ‘900. "Capire Leopardi" - scrisse Cardarelli, che di quel vero manifesto che fu l’edizione rondista del Testamento letterario (1921), fu il principale animatore, oltreché rivalutatore della prosa delle Operette e dello Zibaldone - significa capire la tradizione e la modernità ad un tempo" . Annessa e connessa, la risentita, aspra critica della nostra malintesa tradizione letteraria: "Ma noi siamo egualmente lontani dall’una e dall’altra.


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Storia di un'anima
Memorie
di Giacomo Leopardi
pagine 156

   





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