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      Ma quanto a ciò molti sono d’altra opinione; quanto a noi, siccome il disperare di se stessi non può altro che nuocere, così non mi sono mai creduto fatto per vivere e morire come i miei antenati.
      Avendole reso quelle ragioni che ho saputo della mia risoluzione, resta ch’io le domandi perdono del disturbo che le vengo a recare con questa medesima e con quello ch’io porto meco. Se la mia salute fosse stata meno incerta avrei voluto piuttosto andar mendicando di casa in casa che toccare una spilla del suo. Ma essendo così debole come io sono, e non potendo sperar più nulla da Lei, per l’espressione ch’Ella si è lasciato a bella`posta più volte uscire disinvoltamente di bocca in questo proposito, mi son veduto obbligato, per non espormi alla certezza di morire di disagio in mezzo al sentiero il secondo giorno, di portarmi nel modo che ho fatto. Me ne duole sovra-namente, e questa è la sola cosa che mi turba nella mia deliberazione, pensando di far dispiacere a Lei, di cui conosco la somma bontà di cuore, e le premure datesi per farci viver soddisfatti nella nostra situazione. Alle quali io sono grato sino all’estremo dell’anima, e mi pesa infinitamente di parere infetto di quel vizio che abborro quasi sopra tutti, cioè l’ingratitudine. La sola differenza di principii, che non era in verun modo appianabile, e che dovea necessariamente condurmi o a morir qui di disperazione, o a questo passo ch’io fo, è stata cagione della mia disavventura. È piaciuto al cielo per nostro gastigo che i soli giovani di questa città che avessero pensieri alquanto più che Recanatesi, toccassero a Lei per esercizio di pazienza, e che il solo padre che riguardasse questi figli come una disgrazia, toccasse a noi.


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Storia di un'anima
Memorie
di Giacomo Leopardi
pagine 156

   





Recanatesi