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      Oltre a questo, i miei genitori sono stati sempre, e sono tuttavia fermamente determinati, di non lasciarmi uscire di qua, s’io non mi trovo un impiego da mantenermi del mio. Questo impiego non può esser altro per me, che letterario. Io vissuto sempre in un piccolo paesuccio, non ho conoscenze, non amicizie, non appoggi di sorta alcuna. Così che dopo avere perduto ogni altro vantaggio della vita, mi vedo ridotto a perdere intieramente anche quell’ultimo frutto degli studi, che è la conversazione degli uomini insigni, e quel poco di fama, che ogni piccolo uomo si lusinga e desidera di acquistare. Ma chi vive sepolto in un paese come questo, non può mai sperare di farsi, non dico famoso, ma neppur noto in nessuna parte della terra. Tutte le fatiche, tutti i dolori, tutte le perdite che ho sostenute sono vane per me. Io mi vedo qui disprezzato e calpestato da chicchessia; tutte le speranze della mia fanciullezza sono svanite; ed io piango quasi il tempo che ho consumato negli studi, vedendomi confuso colla feccia più vile degli scioperati e degl’ignoranti. Queste ragioni mi hanno fatto forza ad implorare la misericordia di V.S. Non dissimulerò che io le parlo col cuore sulle labbra, e con tutta l’ingenuità di una tenera e rispettosa confidenza. Io sarò debitore a V.S. di molto più che della vita, perché la vita non è un bene per se medesima; bensì l’infelicità e disperazione totale della vita, è un sommo male quaggiù; e chi ci libera da questa, ci libera da peggio assai che dalla morte.


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Storia di un'anima
Memorie
di Giacomo Leopardi
pagine 156