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      Solamente mi lasciano la misera facoltà ch’io procuri con quasi nessuna conoscenza, e di lontano, quello ch’è difficile ad ottenere con moltissimi aiuti e patrocini, e colla presenza.
      S’è domandato per me al Segretario di Stato il luogo ora vacante di professore di lingua latina nella Biblioteca Vaticana. Ma S. Em. non mi conosce se non per quell’uomo oscurissimo e sconosciutissimo ch’io sono effettivamente. Mi accertano che se Mons. Mai facesse un motto in mio favore al Segretariato di Stato, il negozio succederebbe. Io scrivo a Mons. Mai che da qualche tempo conosco per lettere. Ma parimente mi dicono (e m’era parso già di vederlo) ch’egli è persona d’animo freddo, e bisognoso di forti stimoli a prendersi briga per chi si voglia. Ora io posso ben chiedere il benefizio, ma non meritarlo, né generalmente parlando, né (in questa mia condizione) con veruno in particolare.
      Conte mio, non monta, e niuno si deve curare ch’io viva; non desidero, anzi per nessuna cosa del mondo non vorrei vivere: ma poiché non posso morire (che se potessi, vi giuro che non finirei questa lettera, anzi che sarei morto da lungo tempo), io domando misericordia alla natura che m’ha dato l’essere appostatamente per vedermi a soffrire, domando misericordia ai pochissimi amici miei, perché m’aiutino a sopportare, non più la vita, ma gli anni. Io non so se voi tenghiate con Mons. Mai nessuna familiarità: ma sapendo che siete famoso e riverito, come per tutta Italia e fuori, così massimamente in Roma, ho creduto che forse potreste favorirmi in quel modo che vi piacesse, e preso ardire di supplicarvi.


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Storia di un'anima
Memorie
di Giacomo Leopardi
pagine 156

   





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