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      Dormono volentieri lungo la giornata, si scuotono al tramonto, si radunano in branchi, abbaiano, urlano, spiano i topi, insidiano gli uccelli, e fanno festa grande quando è là presso un asino morto, o spossato per modo che gli possano dare il tracollo. Allora ci si mettono anche nella giornata, e fanno bene, perché, se indugiassero, una buona parte del pasto lo farebbero in loro vece gli avvoltoi. Seguono curiose battaglie fra i cani e quegli uccellacci; i primi si avventano, mordono, ma gli uccelli con due colpi d'ala si sollevano e ripiombano sulla preda a loro talento. Pare la battaglia fra l'ippogrifo e il destriero.
      Non è il caso di supporre che possa venire in mente a cani di un altro monticello di macerie, o rione popoloso poco discosto, di venire a partecipare al banchetto. Al Cairo come a Costantinopoli i cani sono distribuiti in tante tribù, ciascuna delle quali difende disperatamente il suo territorio.
      Non riporto, perché non posso supporre che il mio lettore non abbia seguito il mio consiglio e non tenga ora aperto sul tavolino il volume del De Amicis, lo stupendo brano che c'è nel capitolo sopra citato intorno alle guerre per la quistione territoriale e la difesa dei confini fra i cani di Costantinopoli.
      Riporto piuttosto le linee seguenti dello Hackländer: «Ogni strada ha i suoi propri cani che sono fedeli ad essa come sono fedeli fra noi gli accattoni al luogo della loro stazione. Guai al cane che osi ficcare il naso colà dove non abbia che fare! Sovente io vidi piombare sopra uno di quei disgraziati cani tutti gli altri, e sbranarlo quando non riusciva a salvarsi con una fuga precipitata».


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I cani
di Michele Lessona
pagine 128

   





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