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      Dei cani della Persia e della Turchia si può dire a un dipresso ciò che il signor Brehm dice dei cani dell'Egitto: «Sono molto avversi allo straniero, e gli abbaiano contro appena si mostra, ma si ritirano subito se lo vedono volgersi a loro. Talvolta un gran numero si precipita contro di voi, ed allora è savia cosa il mandare una palla nella testa del più audace. Vivono in buone relazioni coi maomettani, e con coloro che vestono all'orientale, non li temono punto e vengon loro così accosto come se fossero domestici...».
      Lo stesso odio pei forestieri hanno i cani vaganti delle contrade dove vivono i Tartari Nogai. Anche a cavallo il forestiero non è al riparo dal pericolo, quando non sia accompagnato da un Tartaro almeno, o meglio da parecchi. In ogni caso conviene far andare il cavallo a lento passo. Il forestiero che si trovi solo a piedi coi cani intorno, deve pure andare lentamente, trascinarsi dietro il bastone, che sarebbe follia non aver sempre in mano in quelle contrade; i cani addentano il bastone, ma ci mettono un certo tempo prima di farsi arditi ad addentare l'uomo, sempre, ben inteso, se l'uomo cammina a lento passo. Ove corresse, in breve sarebbe soverchiato dal branco urlante, gittato a terra, addentato. Quando il forestiero avesse un pezzo di pane, potrebbe spezzarlo e gittarne di tratto in tratto, un pezzetto alla volta, ai cani, come i pomi della bella Atalanta. I cani si soffermano, ed egli deve andare avanti sempre pianino. Se vede una casa non molto lontana, deve misurare i pezzetti del suo pane per modo da venirsi accostando bel bello a quella casa, e allora, all'ultimo tratto, se ha buone gambe, può risicare una corsa.


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I cani
di Michele Lessona
pagine 128

   





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