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      Kuttka, il primo uomo, non adoperava i cani e tirava egli stesso la slitta. Allora i cani parlavano come gli uomini. Un giorno i figli di Kuttka scendevano il fiume in un battello. Sulla sponda c'erano parecchi cani dal foltissimo pelo, i quali, dopo di aver guardato attentamente gli uomini, parlarono loro e domandarono chi fossero. Gli uomini, col garbo che li distingue in tutte le latitudini, non risposero nulla e tirarono di lungo. I cani s'indispettirono per modo che fecero proponimento, e lo tennero fino ad oggi, di non parlare mai più all'uomo. Tuttavia la curiosità loro è sempre tale, che quando vedono un uomo non sanno trattenersi dallo abbaiare, e questa è la loro maniera di domandargli chi sia.
      Dalla primavera all'autunno quegli uomini lasciano pienamente liberi i loro cani; liberi anche di procacciarsi il vitto, di cui non danno loro più briciola. Costretti a provvedere da sé al proprio sostentamento, quei cani ricorrono al mezzo più efficace adoperato primieramente dall'uomo: si fanno pescatori. Imparano ad abboccare il pesce con grande destrezza, quando hanno molta fame lo mangiano tutto, quando sono a un dipresso satolli si contentano di mangiarne la testa.
      Nel tardo autunno quegli uomini radunano i loro cani, e li legano ai pali intorno alle case. L'esperienza ha insegnato loro che la magrezza li fa veloci, e ciò sappiamo anche noi, perché quando vogliamo dire di un uomo che corre molto, diciamo che corre come un cane magro. I cani legati son lasciati a lungo digiuni perché acquistino velocità e resistenza alla corsa e abbiano, come dicono, il fiato lungo.


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I cani
di Michele Lessona
pagine 128

   





Kuttka