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      Alla prima neve la fame fa ululare giorno e notte lamentosamente quelle povere bestie. I padroni, nell'inverno, quando li fanno lavorare, li alimentano in due maniere. La prima, colla quale si propongono di rinvigorirli, consiste nel dar loro una sorta di carne di pesce corrotta che si conserva in fosse scavate nel suolo. Quegli uomini ambiziosamente asseriscono che al Kamtschatka nissuna carne imputridisce; quel loro pesce conservato, che fa cadere in svenimento un marinaio russo, essi dicono semplicemente che è un po' acidetto. Mettono i pesci corrotti entro a truogoli di legno, poi ci caccian dentro pietre che hanno fatte riscaldare nel fuoco, e dopo ciò li mangiano essi stessi e li danno ai loro cani. Questo tengono in conto di cibo gustoso e nutriente per eccellenza, e lo danno ai cani soltanto alla sera dopo una lunga e faticosa giornata di viaggio. Dicono che se lo dessero al mattino i cani, troppo pasciuti, tirerebbero lentamente e di mala voglia. Il secondo cibo è fatto di pesci ammuffiti e seccati all'aria, che distribuiscono al mattino e anche un po' lungo il viaggio, per dar lena agli animali. Questi ci si precipitano sopra, e siccome i pesci hanno ancora intatte le spine, in breve loro s'insanguina la bocca. Se quei cani possono cacciare il muso nelle provviste dei padroni fanno baldoria, s'arrampicano su per le scale a piuoli e sui tuguri; e lo Steller fa le meraviglie di questa facilità che hanno ad arrampicarsi, facilità che è grande pure, ed io provai molta meraviglia quando primieramente la vidi, nei cani vaganti dell'Egitto.


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I cani
di Michele Lessona
pagine 128

   





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