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      Certo queste asserzioni, tali e quali, sono molto impugnabili. Ma si può dire con certezza che un cacciatore mal pratico, un guastamestieri, non avrà mai un buon cane, per quanto lo sia andato a cercare della più pura e finissima razza.
      Quando gli scrittori francesi si divisero in due schiere, quella dei seguaci della nuova scuola romantica e quella dei fedeli alla vecchia scuola classica, si divisero pure i cacciatori in due campi, il primo partigiano del pointer, che rappresentava il romanticismo, il secondo fedele al bracco, bandiera della vecchia scuola.
      Il romanticismo impallidì dopo un breve splendore, il pointer rimase.
      Alessandro Dumas padre, cacciatore maestro, dipinse, per verità con colori un po' forti, un pointer modello, e io invito il mio lettore a cercarsi il volumetto che egli scrisse col titolo di «Histoire de mes bêtes», uno dei più attraenti, ciò che non è dir poco, dei tanti volumetti mandati per le stampe da quel piacevolissimo e fecondissimo scrittore.
      Il Brehm, nella sua «Vita degli animali», che ho già ripetutamente citata e da cui ho preso molto di quanto sono venuto fin qui dicendo, parla a lungo del cane da caccia, dà alcune norme intorno allo ammaestramento di esso, e racconta certi fatti eccezionali rispetto al modo di comportarsi di taluni di questi cani colla selvaggina. Io consiglio il mio lettore a cercare il volume del Brehm; non mi piace riferire qui ciò che egli ha detto, perché nello ammaestramento non tutti i buoni cacciatori seguono lo stesso metodo, e non a tutti i buoni cani lo stesso metodo giova.


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I cani
di Michele Lessona
pagine 128

   





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