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      Dicevano ancora del riso dei cani che esso non va oltre ai denti. Ciò richiama alla mente i due versi melanconici di Prati:
     
      Riso che sfiora i freddi labbri appenaE dentro il core in lagrime si muta.
     
      E ricorda ciò che si dice in Piemonte del ridere dei pizzicagnoli quando la roba va loro a male.
      Gli antichi raccomandavano di non svegliare il cane che dorme, e questa raccomandazione si ripete oggi in tutte le lingue.
      I veneziani dicono invece: «Can che magna e omo che dorme lassali star».
      Il Talmud esprime lo sconforto, l'impaccio, l'esitazione che prova l'uomo nei primi tempi in cui si trova fuori della sua patria, dicendo che il cane che è in paese straniero non abbaia per sette anni.
      Nelle Indie orientali si dice che chi è sopra un elefante non si cura dello abbaiare dei cani, a significare che l'uomo il quale occupa un posto elevato non si dà pensiero delle critiche, ciò che è la regola in un paese di governo assoluto, ma non manca neppure nei paesi di governo temperato. Ancora nelle Indie orientali, di un uomo che abbia molto lavorato con pochissimo frutto, dicono che ha fatto il viaggio di Benares per portare a casa del pelo di cane.
      Il signor Eugenio Rolland, nella «Faune populaire de France» che ho citato sopra, riporta oltre a trecento proverbi e modi proverbiali intorno al cane. Io consiglio di nuovo il mio lettore a procurarsi questo libro attraente e istruttivo.
      Finisco con un proverbio arabo che udii in Egitto:
      «L'uomo che cammina a una mèta non si ferma a scagliar sassi ai cani che gli abbaiano dietro».


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I cani
di Michele Lessona
pagine 128

   





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