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      Questa rimise sulla strada il povero marito, affinchè rifacesse a modo l'operazione, e per giunta gl'insegnò la riprova.
      La sera il fatterello fu narrato al crocchio degli amici venuti a corteggiare in casa il grand'uomo: si rise, ma nessuno ne fu meravigliato. Si sarebbero anzi fatte le maraviglie (ciò avveniva nel 1844) se il grand'uomo si fosse degnato di conservare un posticino alle rimembranze meschine dell'abbaco nel suo cervello ronzante di periodi sonori, di frasi maestose, di reticenze taglienti come scimitarre, di amare ironie, di apostrofi infocate.
      Un tale, dopo d'essere stato autore drammatico e rimatore, s'indusse a fare gli esami di maestro elementare. L'esaminatore di geografia gli fece questa domanda... Quali sono le isole principali d'Italia? L'interrogato aggrottò le sopracciglia, stralunò gli occhi, balbettò, non seppe rispondere, fu respinto, e andò pei caffè a sbraitare contro la pedanteria del governo che non vuol saperne degli uomini di genio.
      Oggi invero, v'è una schiera di aspiranti artisti i quali si danno poco pensiero dell'altezza della salita e della malagevolezza della via, e fan conto d'andar di slancio al culmine. La conoscete la coorte, sempre giovine capelluta, barbuta, fumatrice, che rinnega i classici, sorride della grammatica, tien broncio al disegno, si schifa degli studii e dei metodi, proclama l'arte un affare di genio, di quel genio che c'è o non c'è: se c'è basta a tutto, se non c'è nulla vale: di quel genio che deve ghermire il concetto teme il falco la tortora, piombar sulla nota come la folgore sul campanile, far viva una statua strappandole il marmo d'intorno come si fa nuda una persona lacerandole a brani le vesti, stendervi sulla tela un paesaggio come svela i monti e i piani il sole che balza dall'orizzonte.


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482

   





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