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      Da venti anni in poi che la stampa si volge alle moltitudini, loro non parla presso che d'altro che di politica. E s'intende. Negli ultimi vent'anni l'Italia s'è travagliata in questo supremo sforzo del volere la sua indipendenza, la sua libertà, la sua unità che ha ottenuto; la lotta fu di ogni anno, di ogni mese, di ogni settimana, di ogni giorno, di ogni ora, e il popolo voleva stampati che mutassero ad ogni ora. Il grande stampare che s'è fatto in questi venti anni fu poi giornali, e non poteva essere altrimenti.
      Ma il giornalismo italiano ha compiuto degnamente il suo ufficio?
      Si lasci per ora in disparte ogni investigazione intorno alla via battuta dai diarii italiani nella politica propriamente detta: non si badi a quello che si suol dire oggi il loro colore, alla bandiera sotto cui si sono raccolti. Si consideri il giornale italiano qual'è in sè stesso. Che cosa vi spicca sopra tutto?
      L'ignoranza: quella malaugurata mezz'ignoranza del giornalista, che faceva esclamare ad Alfieri, non però a proposito di giornalisti:
      «Meglio ignoranza onestamente intiera».
      Nella qual cosa (sia detto fra parentesi) il grande Astigiano aveva, come in tante altre, torto, perchè l'ignoranza intera è spesso disonesta, è sempre peggiore della mezza ignoranza, per quanto questa, come vedemmo, valga pochissimo.
      Il giornalista italiano è ignorante; salvo belle e poche eccezioni. Dovrebbe conoscere le lingue straniere, la geografia, la storia antica e la moderna, le amministrazioni del nostro paese comparate con quelle degli altri, la statistica, i principii generali della legislazione, tenere il lettore informato di quanto avviene di più rilevante presso le altre nazioni, raffrontare il presente col passato e dedurre provvedimenti d'importanza per l'avvenire, porgere intorno alle cose che avvengono dentro o fuori un dilettevole e quotidiano ammaestramento.


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482

   





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