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      Da noi, se taluno si è arricchito, si va con gioia beffarda a rivangare la sua vita passata, gli si getta in viso il suo essere primitivo. Il presidente Jonhson, rinfacciato d'aver fatto nella sua gioventù il sarto, rispose: Sì, feci il sarto; ma si diceva che gli abiti che uscivano dalla mia bottega erano assai ben fatti.
      Ciò che dovrebbe essere riputato ad onore si torce a vergogna; e quest'ignobile invidia dei ricchi camuffata nel simulato dispregio della ricchezza, questo contrasto colla nostra coscienza che ci esalta ciò che le labbra non rifiniscono di biasimare, questa nostra ignavia che ci fa grave il lavoro, c'inducono poi agevolmente a tacciare di male acquistata l'altrui sostanza.
      Chi è ricco, deve aver rubato, truffato, tradito, assassinato: e si foggiano storielle le une delle altre più infami e stupide sul male accumulato tesoro e sulla presupposta farina del diavolo. Di che nacque una tale aberrazione universale, onde il ricco, se può, si studia di dare ad intendere che è sempre stato ricco e non ha mai lavorato, e i figli del ricco si vantano di essere nati nelle agiatezze e di non lavorare, e per poco che loro tutto vada bene vantan un lungo lignaggio di antenati fannulloni di professione.
      Quanto poco sono conosciuti in Italia gli Inglesi! Si tacciano di borie e pregiudizii aristocratici, e per qualche rispetto a ragione. Ma l'Inglese è altero di essere riuscito a qualcosa colle sue sole forze, se ne gloria, e tutti vanno a gara a dargliene vanto concorde. Quando un Inglese arriva ad un grado eminente e s'imbranca coi nobili, egli, non che disconoscere la propria origine, gode di ricordare d'onde prese le mosse, e i suoi figli si gloriano di ciò che fra noi è vergogna.


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482

   





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