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      Così a poco a poco entrò nel pensiero del fanciullo di voler diventare un pittore; e richiese ed ottenne dalla madre, dopo lungo contrasto, d'esser mandato a studiare il disegno da un valente artista napoletano, il Rocco, quand'era già sui quattordici anni.
      Dal pittore, il Morelli tornò per poco al meccanico per raggranellar qualche soldo alla settimana; si allogò poi a tirar linee e fregi sulle tele con un pittore di stanze, ma tornava sempre al Museo, e cominciò a frequentar l'Istituto. Nelle classi di questo la libertà era perfetta: vi entrava chi voleva, e mutava di classe chiunque lo credesse meglio. Ed il Morelli dopo ogni sconfitta che riceveva nei concorsi, ogni volta che dopo un'assenza più o meno lunga tornava alla scuola, si presentava ad una classe superiore a quella che aveva lasciata, per questo si era procacciato a poco a poco il soprannome ironico di pittore coraggioso.
      Il nostro Istituto a quel tempo s'era ridotto a ben povera cosa. Più centinaia di giovanetti, poveri quasi tutti e desiderosi di tentar l'arte in qualunque modo, vi si accalcavano nelle sale disegnando, colorando e imbrattando senza giusta guida, contentandosi i professori di raddrizzare loro una linea, d'attenuare uno scuro, adombrare un chiaro, ma non esponendo mai loro alcuno concetto dell'arte. Gridavano e ripetevano - l'antico, Raffaello, proporzioni, piramidi - e non facevano punto intendere le ragioni delle linee e dei colori, nè capire se bisognasse sentir dentro e volere esprimere da sè qualcosa prima di metter mano a matita o pennello; così che altro concetto della pittura non sorgeva negli scolari se non che fosse un mero risultato di proporzioni e di correzioni di linee e di colori.


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482

   





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