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      Parlava talvolta di me con compiacenza a qualche persona estranea che capitava alla scuola, e non mancava di propormi agli altri scolari per esempio.
      «Per quanto io non avessi alcun merito dell'essere sufficientemente corredato di memoria, nulla di meno io inorgogliva, e mi sembrava di essere divenuto buono a qualche cosa. Ma quest'illusione durò poco: presto cambiò la scena, e non era ancora passato un anno del mio tirocinio architettonico, che mi sentii intimare di abbandonare la scuola, e non molto tempo dopo mi vidi balzato in una bottega di bottaio e di corbellaio, destinato specialmente a questa seconda professione, nella quale le lezioni di geometria e di architettura che aveva ricevute, nulla giovarono a farmi distinguere. Io ho sempre creduto, nè mi sono certo ingannato, che mio padre, dopo aver fatti nuovi esperimenti sulla mia abilità nel suo mestiere, vedendomi crescere in età, e non vedendo probabilmente aumentare in proporzione la mia perizia, attribuisse questo poco o niun profitto, e non a torto, alla mia innata dappocaggine, per ciò volesse esperimentarmi in un'arte più grossolana verso la quale, per altro, confesso che conservai sempre decisa avversione.
      «Ma se poco profittai nell'arte di mio padre, mi fu però utilissimo il tempo che impiegai nella sua bottega, e sotto la sua rigida disciplina. Ivi non si udiva mai la più piccola bestemmia non solo, ma era ancora bandito totalmente il turpiloquio, e s'inculcava sempre il rispetto dovuto alla religione, e quella massima «Essere dovere dell'uomo onesto sprovveduto di beni di fortuna di guadagnarsi il pane col lavoro delle proprie mani» era profondamente sentita, e spesso mi si ripeteva.


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482