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      Quando fu tempo, il padre lo mandò all'Università di Pisa, e là le cose andarono peggio: di studi legali non faceva nulla, e tutto viveva col pensiero al teatro. Dopo tre anni passò il Rubicone, e si gettò in una Compagnia drammatica.
      È vano tentare di descrivere il furore del padre; il quale ora con lagrime di gioia segue il figlio nei suoi trionfi.
      Rossi s'incontrò con Modena, e studiò da vicino quel sommo riformatore dell'arte teatrale, che gli fu molto benevolo.
      Non ebbe da altri compagni d'arte pari benevolenze; lo guardavano come un intruso, gli rimproveravano il suo non esser nato sulle tavole.
      Egli proseguiva tutto pieno d'un suo grande concetto.
      Il teatro riboccava allora di traduzioni dal francese. Goldoni, Alfieri, Niccolini, Nota, Pellico, Marenco, non bastavano ad alimentare le scene, e si ricorreva a traduzioni dal francese. Erano drammi pieni di effettaccio, come dicono i comici.
      Ricco di gusto squisito e nutrito di buoni studi, Ernesto Rossi deplorava questa condizione del teatro italiano, e venne nel proposito di porvi riparo.
      Egli aveva letto Shakespeare tradotto, e s'era entusiasmato indicibilmente per l'immortale poeta. Deliberò di farlo gustare agli italiani, ma volle prima comprenderlo bene addentro egli stesso. Si pose a studiare l'inglese, e non si fermò finchè non fu in grado di leggere e d'intendere e di sentire da sè gli scritti originali di Shakespeare, di Byron, di Milton, e dei tanti poeti che illustrano quella ricchissima letteratura. Andò a Londra, vide Kean rappresentare i drammi di Shakespeare, si abboccò con lui, ne chiese e n'ebbe consigli, ma ripartì deliberato di non imitare, nè Kean nè altri, bensì di fare a modo proprio, e d'interpretare Shakespeare come l'animo gli dettava; aveva con predilezione speciale studiato l'Amleto; s'era compenetrato di questo tipo straordinario e meraviglioso, e deliberò alla fine di presentarlo in Italia.


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482

   





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