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      Da tutte le città d'Italia gli impresari s'affrettarono a pregare il nuovo maestro acciocchè volesse scrivere qualche cosa per loro conto, colle più larghe profferte.
      Il Merelli li aveva preceduti tutti: il giorno appresso la rappresentazione del Nabucco, egli andò dal Verdi, e gli pose sotto gli occhi uno scritto: era un contratto per una nuova opera, firmato, colla somma del compenso in bianco: quella somma l'impresario voleva che la ponesse il maestro.
      Più che mai in quei giorni Verdi avrebbe voluto star solo. Ineffabile all'artista è la dolcezza del primo trionfo. Più tardi, una maggior dimestichezza col pubblico, il concetto della tenuità delle forze umane verso l'altezza infinita dell'arte, ed altrettali cagioni, fanno sì che l'artista riceva talora gli applausi con un sorriso mesto, ed anche sdegnosetto ed ironico. Ma il primo applauso è quello che strappa dalle angoscie strette del dubbio, che lo rivela a sè stesso, che lo rassicura di non essersi ingannato nel giudizio del proprio valore, che non ha fallito la strada, che ha fatto bene a perseverare. Quell'applauso toglie di colpo il giovane dalla oscurità, lo pone in faccia al mondo, gli apre dinanzi un campo sterminato.
      Il Verdi avrebbe voluto essere solo per gustare colla austera voluttà del forte suo animo le gioie di quel primo applauso, e pensare a suo bell'agio ai suoi cari morti, al suo benefattore, al suo suocero, al suo secondo padre, al suo Barezzi, cui riferiva ogni sua gioia, ogni suo dolore, ogni suo pensiero.


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482

   





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