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      Un pensier mesto della madre cara.
      Un desiderio di pace e d'amore,
      Uno sgomento di lontano esilio,
      Che mi faceva andare in visibilio.
      E quando tacque, mi lasciò pensosoDi pensieri più forti e più soavi.
      Costor, dicea fra me, Re pauroso,
      Degli italici moti e degli slaviStrappa a' lor tetti, e qua senza riposo
      Schiavi li spinge per tenerci schiavi;
      Li spinge di Croazia e di Boemme
      Come mandre a svernar nelle maremme.
      A dura vita, a dura disciplina,
      Muti, derisi, solitari stanno.
      Strumenti ciechi d'occhiuta rapinaChe lor non tocca e che forse non sanno;
      E quest'odio che mai non avvicinaIl popolo lombardo all'alemanno,
      Giova a chi regna dividendo, e temePopoli avversi affratellati insieme.
      Povera gente! lontana dai suoi,
      In un paese qui che le vuol male,
      Chi sa che in fondo all'anima po' poi,
      Non mandi a quel paese il principale...
      Gioco, che l'hanno in tasca come noi...
      Qui se non fuggo abbraccio un caporaleColla su' brava mazza di nocciuolo,
      Duro e piantato lì come un piuolo».
      Il giorno che Verdi lesse questi versi, certo ha benedetto gli strazi e le angoscie della giovinezza e i ben patiti dolori che lo condussero alla meta, non solo pel conforto soavissimo che all'artista, soddisfatto del plauso volgare, reca la lode di un'anima eletta, ma più perchè quel giorno potè conoscere in tutta la sua pienezza il bene che avea fatto.
      Non è forse il primo ed il più alto uffizio della musica questo di spirare un'aura di dolcezza fra queste torbide genti umane sempre in battaglia, di richiamare l'uomo adirato o dolente a pensieri più forti, e più soavi, e di penetrare come balsamo salutare nell'anima del disperato, di disperdere le ire, di affratellare popoli diversi?


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482

   





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