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      Curvarsi i cento dello straniero,
      E aprir le braccia l'ampia cittateAlle arrivanti galee dorate
      Che a lei versavano dalla marinaQual sulle vesti d'una regina,
      Di gemme e perle ricchezze immaniCompre col sangue sugli oceàni».
      Poi tornò a rimirare quella bellezza ineffabile di natura e d'arte; ma, prosegue egli:
      «Pur, riguardando, nel cor mi sceseUn desio mesto del mio paese!
      Più che le antenne delle tue navi,
      Nella memoria mi fur soaviLe conosciute mie verdi piante,
      Dove io sorrisi poeta e amante.
      Più che al tuo mare pensar mi piacqueAlle romite fuggevoli acque
      Che in mezzo ai fiori d'un picciol pratoBagnan la casa dov'io son nato,
      Dove la mesta madre dilettaDa molto tempo so che m'aspetta».
      Cotesto accadde a chi visitò Genova non cercando altro in essa che le memorie del suo passato, cosa che, come per Genova, accade per ogni altra città.
      Ma le sensazioni sono ben diverse quando il viaggiatore, invece di non far altro che passare guardando intorno intorno, si fermi, e, lasciato in disparte il passato, si metta a considerare le condizioni attuali di Genova: allora un senso prima di meraviglia, come di chi trovi qualche cosa di molto piacevole là dove non si aspettava, e poi un senso di affettuosa stima prende l'animo, e questa stima e questo affetto crescono, grandeggiano e si rassodano in ragione del tempo che in Genova si passa.
      È vezzo volgare dir male dei Genovesi, chiamarli uomini diversi, gretti, avari, speculatori, alieni da ogni colore intellettuale, municipali, egoisti, rivoluzionari.


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482

   





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