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      Capo della legione italiana, alla battaglia di Sant'Antonio, addì 8 febbraio 1846, con centottantaquattro uomini in una casupola diroccata, sostiene una lotta di dodici ore contro milleduecento nemici, e tenendo a bada si ritira alla fine con poco più di cento uomini, fra cui oltre sessanta feriti.
      Tanto era l'ascendente che aveva saputo acquistare Garibaldi in quei paesi, tanto l'entusiasmo per lui degli Italiani di quelle colonie, che quando volle venire in Italia nel 1848, quegli Italiani gli allestirono una nave, ed un solo, il genovese Stefano Antonini, gli mandò un dono di cinquantamila lire.
      Nè il solo valor militare valse a Garibaldi in America la sua immensa popolarità, ma sì ancora l'indole idealmente generosa.
      In quelle guerre feroci e piene di vendette, egli fu sempre umano, e sovente grande.
      Un giorno, imprigionato, fuggì di carcere, e dopo di aver errato quarantotto ore senza cibo e debole per ferite, fu ripreso. Per punirlo della fuga, lo legarono appeso per le mani alla porta della prigione, e per due ore lo lasciarono pubblicamente a quella orrenda tortura.
      Ed egli, quando vincitore ebbe sbaragliati i nemici, e fra gli altri prigionieri aveva in sua mano la intera famigla del colonnello Lavallega, questa famiglia rimandava sana e salva, dandole a scorta una parte degli stessi prigionieri.
      Il generale Garibaldi raramente parla e poco.
      Delle sue avventure, de' casi suoi meravigliosi non ama tener parola. Solo talvolta rallegra la noia dei lunghi viaggi colla descrizione de' luoghi incantevoli ove vi passò tanta parte della sua vita, e allora, quasi senza volerlo, gli sfugge di bocca qualche ricordo.


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482

   





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