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      È certissimo che dallo sforzo d'un ingegno ristretto fra le angustie della rima escono e non di rado, come da selce percossa quelle poetiche luminose scintille, che nella lentezza della libertà non avrebbero potuto forse mai sprigionarsene. Come parimenti è sicuro, che fra il vigore di un istesso pensiero espresso in verso sciolto e rimato corre la differenza medesima che si vede fra la violenza di uno istesso sasso, tratto colla semplice mano, o scagliato con la fionda, ma da chi sappia adoperarla. E senza tutte queste convenientissime ragioni, chi mai in favore del verso sciolto potrebbe opporsi alla dolorosa esperienza, che han fatta di questa incontrastabile verità gli insigni poemi in tal libero metro de' quali è fornita la nostra lingua; come l'Italia Liberata del dottissimo. Trissino; le sette giornate del Mondo Creato dell'immortale Tarquato Tasso ed altri non pochi, che pieni d'arte, di dottrina e di merito, a dispetto dell'alto credito de' loro autori e del favor della stampa, unicamente perchè mancanti di rima giacciono in una profonda dimenticanza. Estratto della Poetica d'Aristotile Cap. XXIV.
      Affinchè però la rima produca questi vantaggi non deve essere nè uniforme, nè troppo frequente, come nelle Poesie francesi, che rimando un verso coll'altro stancano l'orecchio colla chiusa monotona alla fine d'ogni distico. Quanto al contrario dilettano le nostre ottave, che prevengono il fastidio ed ingannano la stanchezza de' lettori co' lor periodici regolati riposi: non tanto affollati, dice Metastasio, che l'uniformità ne rincresca, nè così fra loro distanti, che si perda l'idea del loro misurato armonico giro che li cagiona; nè così gelosi, che costringano lo scrittore ad interrompere la serie connessa de' suoi pensieri.


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Elogio di Giuseppe Parini recitato nel giorno 16 novembre 1813 in occasione dell'aprimento delle scuole del Liceo di Milano in Porta Nuova
di Ambrogio Levati
1813 pagine 38

   





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