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      Nè mai di lì si volle partir Venere,
      Insinchè non la vedde fatta cenere.
     
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      Fu questa la cagion d'ogni mio male;
      Perchè quando Cupido poi si desta,
      Si stropiccia un po' gli occhi e dal guancialePer levarsi dal letto alza la testa,
      E va per rivestirsi da animale,
      Nè trovando la solita sua vesta,
      Si volta verso me, si morde il dito,
      E nello stesso tempo fu sparito.
     
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      Non ti vo' dir com'io restassi allora,
      Che mi sovvenne subito di quandoIl primo dì mi si svelò, che ancora
      Mi fece l'espressissimo comandoChe in alcun tempo io non la dessi fuora;
      Ed io son ita, sciocca, a fare un bando:
      E poi mi pare strano e mi scontorco,
      S'egli è in valigia(494) ed ha comprato il porco(495).
     
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      Sospesa per un pezzo me ne stetti,
      Ch'io aspettava pur ch'ei ritornasse;
      A cercarne per casa poi mi detti,
      Per le stanze di sopra e per le basse.
      Guardo su pel cammin, giro in su i tetti,
      Apro gli armari e fo scostar le casse;
      Nè trovandolo mai, al fin mi muovoPer non fermarmi finch'io non lo trovo.
     
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      Scappo di casa, e via vo sola sola;
      Nè son lontana ancora una giornata,
      Ch'io sento dire: aspettami figliuola.
      Mi volto, e dietro veggomi una Fata;
      E perch'ella mi diede una nocciuòla,
      Quest'è meglio, diss'io, d'una sassata.
      Di ciò ridendo, un'altra sua compagnaMi pose in mano anch'ella una castagna.
     
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      Ed io, che allora avrei mangiato i sassi,
      M'accomodai per darvi su di morso;
      Ma fummi detto ch'io non la stiacciassi,
      Se un gran bisogno non mi fosse occorso.
      Vergognata di ciò, con gli occhi bassiIl termine aspettai del lor discorso;
      Poi, fatte le mie scuse e rese ad ambe


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Il Malmantile riacquistato
di Lorenzo Lippi (Perlone Zipoli)
Barbera Editore Firenze
1861 pagine 283

   





Venere Cupido Fata