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      Noi potremmo ancora citare degli esempi ora ridevoli, ora strani, ed ora tristi della sua fede nei sogni; ma per dirne uno che insieme ne raccolga tutti i caratteri, diremo del suo sogno della gemma.
      Era il maggio 1560, cinquantaduesimo della sua vita. Il figlio gli era stato dannato pubblicamente per veneficio; niun'altra sventura poteva colpire più al vivo l'anima, già sì poco temperata di Cardano; egli che l'amava per tenerezza paterna, come ne sono prova quei versi sublimi De morte filii, in cui il gelido lutto della vera passione ha un'imagine sì tristamente, perfetta, l'amava anche per ambizione, perchè ne sperava un nipote che lo somigliasse, in fine in quella condanna vie più acceso dalla sventura nelle sue idee lipemaniache, credeva vedere il dito di quelli che si erano congiurati contro di lui (De Vita).
      Balestrato in tal guisa, invano io cercava distrarmi, - vi narra egli stesso, - -con lo studio, col giuoco, e con morsi e battiture alle braccia ed alle gambe, (era questo uno strano ed antico suo divertimento); era la terza notte ch'io non potea prendere sonno; e due ore appena mancavano all'alba; e vedendo ch'io avrei dovuto morire od impazzire, pregava Dio che volesse togliermi affatto da questa vita.
      Ed ecco improvviso mi prende il sonno, e ad un tempo sento ravvicinarsi persona di cui le tenebre nascondeanmi le forme, che mi dicea: "Che ti duole del figlio....? La pietra che tieni appesa al collo, portala alla bocca, e fin che ve la terrai, non ti sovverrà più di lui". Desto dal sogno, pensava qual mai rapporto potesse esservi tra lo smeraldo e l'oblivione; ma poichè null'altra via mi restava, io ricordandomi le parole sacre: Credidit et reputatum ei est ad justitiam, abboccai lo smeraldo.


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Nuovi studi sul Genio.
Parte I (da Colombo a Manzoni)
di Cesare Lombroso
Sandron Editore
1901 pagine 187

   





Cardano De Vita Dio Credidit