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      Con larghezza di vedute e forza d'intuizione nuove e mirabili egli abbracciò, il primo, l'antichità classica in tutto il suo insieme, e volle rifarsene l'anima. Dall'alto della sua dottrina classica egli sentì un acre dispregio per tutto quello che costituiva il fondo del pensiero medioevale, mortificato in tanta ristrettezza di nozioni e fallacia di postulati. Tradizioni e leggende, pregiudizi e superstizioni si trovano, fin dalla sua giovinezza, fuori del circolo delle sue idee. Quel che era il fondamento della cultura e le condizioni del sapere al suo tempo egli ebbe in aborrimento, cosicchè, filosofo, sdegnò la scolastica; asceta, la teologia; uomo di mondo e spirito utilitario, la giurisprudenza. Con la mente libera dal rigido convenzionalismo proprio degli studi dell'età sua, egli esplorò con baldanza d'uomo nuovo tutte le regioni del sapere antico, e in presso che tutte s'industriò di esercitare o di provare almeno le proprie forze. Epico e lirico, bucolico e drammaturgo, storico e geografo, moralista e politico, polemista ed oratore, disegnatore e musico, adoratore della sapienza e dell'arte, egli preluse a quell'università di intelletto ed a quella signorile genialità, che poi furono un privilegio del secolo di Leonardo e dell'Alberti.
      Mentre i contemporanei esalavano il nativo sentimento dell'arte innalzando con trepido entusiasmo le volte aeree delle loro cattedrali, il Petrarca, con un gusto che doveva parere barbaro, cercava e ammirava i monumenti dell'antichità. Dilettante di musica, altra nota di modernità, ne raccomandava lo studio ai giovani e i principi esortava a diffonderne il culto, mostrandone la civile efficacia


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Nuovi studi sul Genio.
Parte I (da Colombo a Manzoni)
di Cesare Lombroso
Sandron Editore
1901 pagine 187

   





Leonardo Alberti Petrarca