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      A 17 anni Schopenhauer era così compreso della vanità della vita, come se avesse già conosciuto la malattia, la vecchiaia; fin d'allora era persuaso non aver il mondo alcun valore, e volentieri s'isolava. L'improvvisa morte del padre, nel 1805, ne aumentò in modo la mestizia che poco differiva da una vera melanconia; egli sfogava il suo dolore in lettere desolate alla madre: ma non perdeva la lena dello studio.
      A 27 anni (nel 1814) aveva formulato tutti i dogmi del suo sistema, a 30 anni sembra avesse già composto l'opera sua capitale: Il mondo come volontà e come rappresentazione.
      Il 21 marzo 1824 scriveva all'amico Osann: "Ho passato tutto l'inverno in camera ed ho molto sofferto". Egli aveva allora un tremore alla mano, tanto che solo con gran fatica poteva rispondere alle lettere, e l'orecchio destro era completamente sordo.
      Scorgeva pericoli anche là dove non esistevano. Di notte, ad ogni piccolo rumore si svegliava ed afferrava la spada o la pistola, che teneva costantemente caricata; ingrandiva all'infinito le più piccole contrarietà, così che ogni rapporto colle persone gli riesciva difficile: scriveva in greco, in latino ed in inglese tutto quanto si riferiva ai suoi dolori. Faceva passare le sue carte di valore, come Arcana medica, per difendersi dai ladri, e le nascondeva tra le vecchie carte o documenti, e sotto il calamaio dello scrittoio, finendo per dimenticarle. Non si fidò mai del rasoio del barbiere.
      Temeva sempre di essere corbellato nelle sue relazioni d'affari.


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Nuovi studi sul Genio.
Parte I (da Colombo a Manzoni)
di Cesare Lombroso
Sandron Editore
1901 pagine 187

   





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