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      A stretto diritto, certamente che noi, che più non ci crediamo vicarii di Dio in terra, non ne abbiamo alcuno assoluto contro l'esistenza di nostri simili; ma se il diritto non ci viene dalla necessità, della difesa, non ne abbiamo allora nemmeno contro il loro sequestro, nemmeno per bandire una contravvenzione. Dire che quella pena vada contro alle leggi della natura è fingere di ignorare che essa è scritta a caratteri troppo chiari nel suo libro, sapendosi anzi che nella lotta per l'esistenza, seguita da immani ecatombe, basasi tutto il progresso del mondo organico e quindi del nostro.
      La rivelazione che vi sono esseri, come i delinquenti-nati, organizzati pel male, riproduzioni atavistiche non solo degli uomini più selvaggi, ma perfino degli animali più feroci, dei carnivori e dei rosicchianti, lungi, come si pretende, dal doverci rendere più compassionevoli verso loro, ci corazza contro ogni pietà; poichè essi non appaion più nostri simili, ma come bestie feroci; e la zoofilia non è giunta, salvo pei fachiri indiani, a lasciarci divorare dalle fiere ed a sacrificare noi stessi a lor beneficio.
      E qui non posso non ricordare le robuste linee che Taine poco tempo prima di morire mi dirigeva: "Quando nella vita, nell'organizzazione intellettuale, morale, affettiva, del delinquente, l'impulso criminale è isolato, accidentale e passeggiero, si può, anzi, si deve perdonare; ma più questo impulso è legato alla trama intera delle idee e dei sentimenti, più l'uomo è colpevole e più dev'essere punito.


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L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia alla giurisprudenza ed alla psichiatria
(Cause e rimedi)
di Cesare Lombroso
Fratelli Bocca Editori Torino
1897 pagine 833

   





Dio Taine