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      10). È proprio che quella stessa freccia di pietra, quello stesso Cassetéte imbrandito dal selvaggio Negro ed Australiano (Fig. 11), e quella macina adoperata dalla sua schiava noi troviamo, scavando al di sotto dei nostri laghi, essere stata adoperata, sulle stesse nostre terre, dagli ignoti predecessori che le popolarono; e, ricostruendo, con pazienti indagini, gli avanzi delle abitazioni di queste, ci sembra trasportati nei mari dell'Oceania o nelle capanne lacustri dell'Africa.
      [vedi figura - Un nobile dell'Uganda.]
      [vedi figura - Matutaera, capo zelandese dei contorni d'Auckland.]
      E in tutte le razze più disparate noi troviamo adoratori delle stelle e credenti nei sogni, pronti a venerare, come cose vive e sante, le pietre, le foglie, le nubi; e tutte crearono leggende così simili tra loro, che sembrano foggiate su di uno stesso modello; e tutte si accordarono, perfino, a intitolare colle medesime voci non pochi oggetti che loro cadevano sotto occhio.
      Impossibile, dicono i monogenisti, è lo spiegare questa uniformità di costumi, di leggi, di lingue, senza ricorrere ad una commune origine.
      Se non che qui bisogna distinguere. Vi hanno analogie del mondo morale, che sono corroborate da ragioni geografiche, storiche e anatomiche, e allora giovano a concludere per una origine commune. Così l'analogia tra lo zodiaco messicano e il thibetano, e tra i nomi dei mesi messicani coi mongolici, e tra i quipui dei Peruviani e la scrittura a nodi dei Chinesi, ben potrebbe farci sospettare vagamente di una derivazione delle razze americane dalle gialle: ma il dubio diventò certezza solo ora, dopo che la geografia ci additava le facili communicazioni di cabottaggio, favorite dalle correnti marine tra il Giappone e le spiaggie americane (Pickering.


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L’uomo bianco e l’uomo di colore.
Letture su l'origine e la varietà delle razze umane
di Cesare Lombroso
Editore Fratelli Bocca
1892 pagine 251

   





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