Pagina (23/494)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Una degli uomini e degli Dei è la stirpe, e d’una madre viviamo, diceva Pindaro (nella ode 6a delle Nemee): l’uomo aveva animata tutta la natura, e la natura rispondeva con mille voci all’uomo, il quale veramente le udiva e le sentiva, perchè erano le voci dell’anima sua. Quest’anima sì bene armonizzata di sentimento e di fantasia creò la religione e l’arte egualmente belle, come due gemine sorelle che vivono d’una madre, per modo che nella religione era tutta la vaghezza artistica, e nell’arte tutta la solennità religiosa. Però la religione ebbe per sacerdoti gli artisti; ed essa ispirò i poemi d’Omero e di Esiodo, le tragedie di Eschilo e di Sofocle, le odi di Pindaro e d’Anacreonte, il Giove di Fidia, la Venere ed il Cupido di Prassitele: e però il popol greco teneva come sacri i libri dei suoi poeti, li serbava a mente e li cantava, gl’intendeva e li credeva pienamente. I Romani per contrario tenevano sacri i libri sibillini e di Numa, scuri, segreti, letti solamente da pochi patrizi, e interpetrati secondo l’interesse dello stato. Questa credenza nel popol greco era dunque naturale e necessaria, perchè il bisogno di credere è potente in noi quanto quello di pensare: e doveva credere nei poeti, perchè quella religione, più di quante altre sono state al mondo, era una schietta poesia.
      XIV. Se non che i savi sentivano che quelle liete creazioni se piacevano alla fantasia e movevano caramente gli affetti, non però contentavano la ragione, severa ed eterna avversaria della fede religiosa: quindi cercarono di trovare in quelle creazioni le verità razionali nascoste sotto il velo dell’allegoria.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494

   





Pindaro Nemee Omero Esiodo Eschilo Sofocle Pindaro Anacreonte Giove Fidia Venere Cupido Prassitele Romani Numa