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      (23) Io seguo intieramente l’opinione di quel dotto uomo; e solamente per più confermarla aggiungerò alle molte ragioni che egli adduce alcune poche di altra natura. Questo dialogo vuol dimostrare che i Cristiani sono una setta di sciagurati fanatici, nemici della patria, che desiderano e pregano pubbliche calamità e disastri all’esercito che combatte contro i Persiani, e però lacera essi ed i loro dommi con molta asprezza. Questo scopo non poteva averlo nè Luciano, nè alcun uomo del suo tempo; perchè i Cristiani nel secondo secolo erano ancora pochi, deboli, poveri, ed umili. Luciano nel Peregrino ne parla come di gente fanatica ma bonaria, amorevole, ignorante, facile ad essere abusata da ogni scaltro impostore, non già nemici pubblici, ed uomini abbominandi come qui sono chiamati. Quell’asprezza dimostra che i Cristiani erano già potenti, ed avevano fieri nemici. Lo scrittore trova un leggiero appicco per parlare ancora con molto disprezzo degli Dei del paganesimo: nel che vedesi un tempo, in cui il Cristianesimo, perchè potente, era odiato, ed il paganesimo, perchè cadente, era disprezzato; e vedesi un uomo che è un sofista saccente, che non vuole lasciare occasione di sfoggiare erudizione, che dimostra il dimostrato, e dà la pinta al caduto. Questo saccente non cristiano nè pagano, che non riconosce nè adora altro che l’Ignoto Dio che è in Atene, è un cortigiano che vuole adular Giuliano tenero di Atene. Se il vecchio Luciano ributtava il cristianesimo e il paganesimo, adorava egli un Dio ignoto?


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494

   





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