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      Giove. Timone non te lo farà più. La zappa lo ha bene ammaestrato, s’ei non si sente affatto dirotti i fianchi, che tu sei migliore della povertà. Ma tu mi pari sempre malcontento: ora accusi Timone che ti apriva le porte, ti lasciava andar libero, non ti chiudeva, non t’aveva caro: e un tempo dicevi il contrario, t’arrovellavi contro i ricchi che ti chiudono con chiavi, chiavistelli e suggelli, senza lasciarti fare un po’ di capolino e vedere la luce. Te ne sei lamentato con me: m’hai detto che ti sentivi affogare nel buio; che però eri così giallo e sparuto, e che pel continuo contare t’eran rimaste rattratte le dita, e minacciavi che vedendo il bello, te l’avresti svignata. Ti pareva insopportabile a stare in una camera di bronzo come Danae, con due fiere streghe per balie, l’Usura e l’Aritmetica. Dicevi che costoro erano sciocchi ad amarti tanto e non goderti, a non ardire neppur sicuramente di usare di te, di cui sono signori; ma vegliare per custodirti, spalancar tanto d’occhi su i chiavistelli ed i suggelli; godere di non goderti essi, nè farti godere dagli altri un poco, come la cagna della stalla che non mangia orzo, e non fa mangiarne al cavallo che ha fame. Ed ancora tu ridevi di coloro che risegano, risparmiano, accozzano, si privano del necessario, e non sanno che un birbone di servo, o l’economo, o l’aio, traforatosi nel celliere, sguazza allegramente, mandando un canchero al misero padrone, che al fioco lume d’una lucernetta con picciol becco e sottilissimo stoppino, studia a calcolare le usure.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494

   





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