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      Se è vero, non so, ma dicono che Giove tramutato in oro venne a lei piovendo dalla soffitta; e che ella accogliendo il dio che le scorreva nel seno, ne divenne gravida. Accortosene il padre, che è un vecchio salvatico e geloso, sdegnossene fieramente: e credendo che avesse avuto che fare con tutt’altri, ancor tenera del parto la gettò in quella cesta.
      Dori. E che faceva ella, o Teti, quando v’era messa?
      Teti. Di sè non parlava, o Dori, e sopportava la sua condanna; ma pregava pel suo bambino che non l’uccidessero, e piangendo mostrava all’avolo quella bellissima creaturina, che inconsapevole delle sue sventure sorrideva guardando al mare. Oh, mi si tornano a riempir gli occhi di lagrime, come me ne ricordo.
      Dori. Hai fatto piangere anche me. E sono già morti?
      Teti. No: la cesta va galleggiando attorno Serifo, e vi son vivi tutti e due.
      Dori. E perchè non la salviamo, spingendola nelle reti dei pescatori di Serifo? essi nel tirarle la salveranno certamente.
      Teti. Ben dici: facciamolo. Non perisca nè ella nè quel suo fanciullino sì bello.
     
     
      13.
      Nettuno ed Enipeo.(53)
     
      Enipeo. Non istà bene questo, o Nettuno, a dire il vero: ingannarmi l’innamorata, prendendo le mie sembianze, e sverginarmela: ella credeva che glielo facessi io, però si stette.
      Nettuno. Ma tu, o Enipeo, eri uno sprezzante, un freddo con una sì bella fanciulla che veniva ogni giorno da te, t’amava perdutamente, e tu non te ne curavi, e godevi di affliggerla. Ella andava ruzzando sulle tue rive, entrava nell’acqua, spesso si lavava, si struggeva di essere teco, e tu la tenevi a badalucco.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494

   





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