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      Ma io vorrei proprio sapere da te che ti senti, quando ripensi che felicità lasciasti su la terra, guardie, scudieri, satrapi, ricchezze inestimabili, popoli che t’adoravano, e Babilonia, e Battro, e grandi elefanti, e gli onori, e la gloria, e il pompeggiare nelle cavalcate col capo cinto di bianche bende e con la porpora succinta. Non ti addolori quando ti vengono a mente queste cose? Ma perchè piangi, o sciocco? E non t’insegnò il sapiente Aristotele a non credere stabile quel che viene da fortuna?
      Alessandro. Sapiente? egli che era il più scaltrito di tutti gli adulatori? Conosco io Aristotele, so io quel che egli chiese da me, e che lettere mi scrisse per guastarmi, carezzando la mia letteraria ambizione, e lodando ora la bellezza, come fosse un bene, ed ora le mie azioni e la mia ricchezza. Anzi, egli stimava essere un bene anche la ricchezza, e non si vergognava di riceverla. Sai, o Diogene, che frutto ho io cavato dalla sapienza di quell’impostore ed istrione? addolorarmi, come se fossero gran beni quelli che tu testè annoveravi.
      Diogene. Sai che vuoi fare? Ti darò io un rimedio per cotesto dolore. Giacchè qui non nasce elleboro, bevi a lunghe sorsate l’acqua di Lete, e ribevine molto volte. Così forse cesserai di addolorarti pei beni di Aristotile. Ma oh, vedo Clito, e Callistene, e molti altri che vengono arrovellati per farti a pezzi, e vendicarsi di quello che tu facesti a loro. Và, vattene per quest’altra via: e bevi e ribevi come t’ho detto.
     
     
      14.
      Alessandro e Filippo.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494

   





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