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      Ermotimo. Ma perchè dici questo?
      Licino. Perchè, o caro mio, delle statue si giudica così dall’aspetto. Più esse sono di bell’aspetto e di ornate vestimenta, più è da credere che sono fatte o da Fidia, o da Alcamene, o da Mirone che le fecero della forma più bella. Se da quel che tu di’ si dovesse formare il giudizio, come faria un cieco che volesse filosofare? Come distinguere e scegliere il meglio, se egli non può vedere nè il vestire nè l’andare?
      Ermotimo. Ma io non parlo pe’ ciechi, o Licino; nè mi brigo di essi.
      Licino. Eppure una cosa sì grande e generalmente sì utile dovrebbe avere un segno riconoscibile a tutti. Ma, se così vuoi, rimangano fuori della filosofia i ciechi, perchè non vedono (benchè essi specialmente avrian bisogno di filosofare per confortarsi nella loro sventura); ma quelli che hanno la vista anche acutissima che potrebbero vedere dell’anima da cotesta apparenza esterna? quel che io voglio dire è questo: non ti avvicinasti tu a questi uomini perchè ne ammiravi la mente, e credevi di render migliore la mente tua?
      Ermotimo. Certamente.
      Licino. E come potevi da quei segni che hai detti discernere se uno filosofava bene o male? La mente non trasparisce così, ma sta chiusa e segreta, e mostrasi nel parlare, nel conversare, nell’operare, e pure tardi ed appena. Hai udito forse contare che rimprovero Momo fece a Vulcano: se no, te lo conterò io. Dice la favola che Minerva, Nettuno e Vulcano vennero a contesa chi era più valente nell’arte sua, e che Nettuno formò un cavallo, Minerva disegnò una casa, e Vulcano fece l’uomo.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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