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      Ermotimo. Dunque tu dici, o Licino, che non dobbiamo filosofare, ma darci all’ozio, e vivere nell’ignoranza?
      Licino. E quando m’hai udito dir questo? Io non dico che non si debba filosofare; ma, giacchè si deve filosofare, e ci son molte vie che si dicono menare alla filosofia ed alla virtù, e non si sa quale tra queste sia la vera, dico che si faccia un’attenta disamina. Ci si è chiarito impossibile sciegliere tra molte sètte la migliore, se non si ha conoscenza di tutte quante: abbiam veduto che tempo ci vuole per questa conoscenza; ora tu come ti persuadi (voglio tornare a dirtelo) di seguire il primo che incontri, e che egli t’insegnerà filosofia, e te ne farà dottore?
      Ermotimo. E che potrei più risponderti, quando tu dici che non può giudicare di una setta se non chi ha gli anni della Fenice, e le ha percorse e studiate tutte quante; e non ti degni di credere a molti che l’hanno prima studiata, e la lodano, e te ne fan fede?
      Licino. Ma chi sono cotesti molti? L’hanno essi conosciute e studiate tutte? Se sì, me ne basta uno, e non è mestieri di molti: se no, se mi parli di quelli che non le conoscono, il numero non m’indurrà a prestar loro fede, finchè essi o ignorandole tutte, o conoscendone una sola, vonno dar sentenza di tutte.
      Ermotimo. Dunque solo tu discerni il vero, e tutti gli altri che filosofeggiano sono sciocchi?
      Licino. Tu mi calunnii, o Ermotimo, dicendo che io mi tengo da più degli altri, o mi pongo tra i saputi: e non ricordi che t’ho detto come io non mi vanto di conoscere il vero più degli altri, ma confesso di non saperlo con tutti gli altri.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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