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      I fanti si ferivano tra loro medesimi, ed erano calpestati dai cavalli che a furia gl’investivano: i carri rivolti anch’essi e traportati in dietro menavano non poca strage, e come dice Omero, facevano gran fragore e rovina: chè i cavalli sviati e spauriti dagli elefanti, gittati giù i cocchieri, andavano qua e là sbattendo i vuoti cocchi, i quali tagliavano e stracciavano con le falci quanti de’ loro incontravano; e in quello scompiglio ci capitarono molti. Inseguivanli gli elefanti calpestando, afferrando gli uomini con le proboscidi e lanciandoli in alto, lacerandoli coi denti: insomma essi con quel che fecero diedero la vittoria ad Antioco. La strage fu grande: e dei Galati molti morirono, alcuni furono presi, pochi scamparono con la fuga nelle montagne. I Macedoni di Antioco cantarono vittoria, ed affollandosi intorno al re gli offerivano corone, e lo gridavano gran capitano. Ma egli con le lagrime agli occhi disse loro: Vergognamoci, o commilitoni, che dobbiamo la nostra salvezza a queste sedici belve. Se i nemici non si fossero atterriti del nuovo spettacolo, che eravam noi per loro? E volle che sul trofeo si scolpisse non altro che un solo elefante.
      Ora io considero che il caso mio è simile a quello d’Antioco: per vincere la battaglia non ci vuole altro che pochi elefanti, spauracchi strani, gettar polvere negli occhi: le cose in cui io fidavo non sono tenute in nessun conto. È una centaura dipinta: questo solo fa colpo, questo pare, come è, una novità, una maraviglia.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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