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      Ma il male travolgeva le loro menti in modo ridicolo, tutti davan di volta per la tragedia, e recitavano versi giambi, e gridavano, e specialmente declamavano ciascuno tra sè l’Andromeda di Euripide, e i versi del soliloquio di Perseo: sicchè tutta la città era piena di gialli e magri declamatori settimanali che a gran voci belavano:
      Tu, de’ Numi e degli uomini tiranno,
      O Amore;
      e quel che segue. La cosa durò un pezzo: finchè venuto l’inverno e un freddo grande li risanò di quella pazzia. Della quale, io credo fu cagione Archelao, famoso tragedo di quel tempo, che in mezzo a’ grandi bollori della state, rappresentò loro l’Andromeda in tal modo che molti nello stesso teatro furono assaliti dalla febbre, e poi che si levarono, si diedero a recitar tragedie, essendo rimasta fitta nella loro mente l’Andromeda, e credendo ciascuno di vedersi ancora innanzi agli occhi Perseo e Medusa. Ora il caso è lo stesso: la malattia degli Abderiti ora è venuta a molti letterati; non di declamare tragedie (chè saria minor male farci udire bei versi altrui), ma dacchè sono cominciati questi avvenimenti, la guerra contro i barbari, la rotta in Armenia, e le continue vittorie,(19) non ci è uno che non iscriva una storia; anzi tutti son divenuti Tucididi, Erodoti, e Senofonti. Onde è proprio vero che la guerra è madre di ogni cosa, se ci ha partorito a una volta questo formicaio di storici. Ora io a vedere e udire costoro, o amico mio, mi sono ricordato di un tratto di Diogene. Quando si sparse la voce che Filippo veniva ad assalire Corinto, tutti i cittadini sbigottiti si diedero un gran fare, chi preparava armi, chi portava pietre, chi rifaceva le mura, chi rafforzava i bastioni, e chi faceva una cosa, chi un’altra.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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