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      Saria veramente nuova, o mio Filone, se io mi dovessi difendere, e dimostrare che io non sono Parto, nè di Mesopotamia, dove questo mirabile scrittore ha trasportata la casa mia. Il quale dice di Severiano un’altra cosa credibilissima, giurando di averla udita da uno che si salvò da quella rotta. Che non volle morire nè di spada, nè di veleno, nè di laccio, ma pensò di fare una morte tragica e stranamente ardita. Avendo due grandissimi e bellissimi vasi di vetro, poi che si fu deliberato di morire, ruppe la tazza più grande, e con un pezzo di vetro si tagliò la gola: non trovò un pugnale, un lanciotto per morir da uomo e da prode! Dipoi perchè Tucidide fece l’orazione funebre ai primi che morirono nella guerra del Peloponneso, anche costui credette di doverla fare a Severiano. Tutti quanti se la pigliano col povero Tucidide che non ha colpa affatto alle disgrazie di Armenia! Fatto adunque un gran mortorio a Severiano, fa montare presso al sepolcro un Afranio Silone, centurione, emulo di Pericle, che dice tali e tante cose con mirabile rettorica, che, per le Grazie, mi fece piangere delle risa: specialmente quando l’oratore Afranio in fine del suo discorso, piangendo e gridando affannosamente, ricordò le grandi scorpacciate e le larghe bevute che avevano fatte insieme. Poi lo fa finir come Aiace: chè sfoderata la spada, da generoso, da vero Afranio, al cospetto di tutti, si uccide sul sepolcro; degnissimo, per Marte, di morire molto prima di sparpagliar tanta rettorica. E questo fatto, ei dice, lo videro tutti i presenti, che ammirarono, e lodarono a cielo Afranio.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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