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      E queste erano le forze di Endimione. Le armi erano le stesse per tutti: elmi di baccelli di fave, chè le fave
      colà nascono grossissime e durissime; corazze a squamme, fatte di gusci di lupini cuciti insieme, chè lì il guscio del lupino è impenetrabile come il corno: scudi e spade come l’usano i Greci. Giunta l’ora della battaglia le schiere furono ordinate così: nel corno destro stavano gl’ippogrifi con Endimione circondato dai suoi più prodi, e tra questi anche noi; nel sinistro gli erbalati; nel mezzo gli aiuti, ciascuno nella schiera sua. I fanti poi che erano un sessanta milioni furono collocati a questo modo. Colà sono molti e grandi ragnateli, ciascuno dei quali è maggiore di un’isola delle Cicladi: ora questi ebbero comando di stendere le loro tele nell’aere che è tra la Luna ed Espero: eseguita subito l’opera, e fatto il campo, quivi furono schierate le fanterie: delle quali era capitano Notturno figliuolo di re Sereno con due luogotenenti. Dei nemici poi nell’ala sinistra stavano i Cavaiformiche, tra i quali Fetonte: sono questi bestie grandissime, alate, simili alle nostre formiche, tranne per la grandezza, che giungono ad esser grandi anche due jugeri: combattevano non solo quelli che li cavalcavano, ma essi ancora, e specialmente con le corna: e si diceva che erano intorno a cinquantamila. Nella destra erano disposti gli Aerotafani, anche un cinquantamila, tutti arcieri, che cavalcavano tafani stragrandi: dopo questi stavano gli Aeroriddanti, fanti spediti e battaglieri, che con le frombole scagliavano ravanelli grossissimi, e chi colpivano era subito spacciato, moriva pel puzzo che uscia della ferita: e si diceva che quei terribili proiettili erano unti di veleno di malva.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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