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      Nel mezzo dell’isola era fabbricato un tempio a Galatea (la Lattaia) figliuola di Nereo, come diceva l’iscrizione. Durante il tempo che quivi rimanemmo avemmo per pane e companatico la terra dell’isola, e per bevanda il latte dei grappoli. Regina di quel paese dicevasi che era Tiro (la Caciosa), la figliuola di Salmoneo, la quale poi che fu lasciata da Nettuno ebbe quest’onore.(28)
      Rimasti cinque giorni nell’isola, nel sesto partimmo accompagnati da un venticello che increspava leggermente il mare. Nell’ottavo giorno navigando non più nel latte ma nell’acqua salsa e cerulea, vediamo correre sul mare molti uomini simili a noi per le fattezze e la statura, se non che avevano i piè di sovero, onde erano chiamati Soveripedi. Era una maraviglia vedere come non affondavano, ma si tenevano sull’acqua, e vi camminavano senza paura: si avvicinarono a noi, ci salutarono in lingua greca, e ci dissero che andavano in Sovería loro patria. Per certo spazio ci accompagnarono correndo presso la nave; poi dovendo voltare strada, ci diedero il buon viaggio, e andaron via.
      Poco appresso ci apparirono molte isole: la più vicina a sinistra era Sovería, dove quelli andavano, città fabbricata sovra un grande e rotondo sovero: lontano e verso destra cinque grandissime ed altissime su le quali ardeva molto fuoco: dirimpetto la prora una larga e bassa, dalla quale eravamo lontani non meno di cinquecento stadii. Avvicinandoci a questa, maravigliati sentimmo spirarci intorno un’aura soave e fragrante, come quella che dice lo storico Erodoto, spira dall’Arabia felice.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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