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      Tutti i semidei, e quelli che guerreggiarono a Troia, tranne Aiace di Locri, lui solo dicevano punito nel paese degli empi. Dei barbari v’erano i due Ciri, lo scita Anacarsi, il trace Zamolchi, e Numa italiano: v’era ancora Licurgo lacedemone, Focione e Tallo ateniesi; ed i sapienti, eccetto Periandro.(30) Vidi Socrate di Sofronisco, che chiacchierava con Nestore e Palamede: e vicino a lui erano Jacinto lacedemonio, il tespiese Narciso, Ila, ed altri belli. A me parve innamorato di Jacinto, e a molti segni si conosceva. Dicevano che Radamanto l’aveva in uggia, e più d’una volta l’aveva minacciato di sbrattarlo dall’isola, se egli seguitasse le sue baie, e non lasciasse l’ironia. Il solo Platone non v’era, ma dicevasi abitare una città che egli stesso aveva fatta, con quel governo e leggi che egli le aveva date. Aristippo ed Epicuro c’erano i primi, essendo piacevoloni e bravi compagnoni. V’era anche Esopo frigio, che faceva da buffone. V’era Diogene tanto mutato da quel di prima, da sposar Laide, spesso levarsi a ballare ubbriaco, e fare altre mattezze nel vino. Degli stoici poi non v’era nessuno: si diceva che ancora salivano il loro alto monte della virtù. Anzi udimmo dire che Crisippo non poteva entrare nell’isola se prima non si fosse quattro volte ben purgato con l’elleboro. Dicevasi ancora che gli Academici vogliono venirci; sì, ma s’astengono, e discutono, nè giungono a capire se l’isola esiste o no; ma credo io, perchè temono il giudizio di Radamanto, come quelli che han tolto via il criterio.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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