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      Se ne fuggì mandando un lugubre lamento. Discesivi sul fare del giorno, vediamo il nido simile ad una grande zattera fatta di grossi alberi; sopra vi stavano cinquecento uova, ogni uovo più capace d’una botte di Chio: dentro ai quali si vedevano i pulcini che pigolavano: con la scure aprimmo un uovo, e ne cavammo un pulcino implume, più grosso di dodici avoltoi.
      Passati un dugento stadii oltre il nido, ci avvennero grandi e mirabili prodigi: il paperin di prora a un tratto starnazzò l’ali e strillò; il pilota Scintaro, che era calvo, rimbiondì; e la più nuova fu che l’albero della nave germogliò, mise i rami, ed in punta portò frutti, fichi ed uve grandi, non ancora mature. A questa vista noi naturalmente sbigottiti pregammo gl’Iddii di allontanar da noi la maluria. Non eravamo andati oltre un cinquanta stadii e vediamo una selva grandissima e folta di abeti e di cipressi. Credemmo fosse il continente, ma era il mare senza fondo che aveva germinati alberi senza radici; gli alberi stavano saldi, ritti, e piantati su l’acqua. Fattici più da presso, guarda e riguarda, non sapevam che fare: navigare per mezzo agli alberi folti e continui non era possibile, tornare indietro non era facile. Io m’arrampicai sovra l’albero più alto per iscoprire qualcosa al di là, e vidi che la selva continuava così cinquanta stadii o poco più, e dipoi v’era altro mare. Pensammo adunque di porre la nave sovra gli alberi che eran foltissimi, e tragittarla, se era possibile, nell’altro mare: e così facemmo.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





Chio Scintaro Iddii